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Tartufo bianco (trifula bianca)

 

Descrizione sintetica del prodotto. Le dimensioni dei carpofori di questo tartufo (Tuber magnatum) sono molto variabili e vanno da quelle di un pisello a quelle di una grossa patata che può avvicinarsi in alcuni casi al chilogrammo di peso.
Come si ottiene. Cresce in pianura ed in collina fino a 600-700 m s.l.m. (eccezionalmente anche più in alto), in simbiosi con il tiglio, il pioppo, le querce, i salici ed i noccioli. Come quasi tutte le specie di tartufi si sviluppa su locali calcarei a reazione neutra o sub-alcalina. Ama anche i terreni freschi e cresce preferibilmente lungo le vallate in prossimità di corsi d’acqua. L’epoca di maturazione varia da settembre a dicembre ed è influenzata notevolmente dall’altitudine: i primi tartufi a maturazione sono sempre quelli in pianura.
La tartufaia coltivata è quella costituita "ex novo" in un’area di terreno dove non vi sono piante che producono naturalmente tartufi. Prima di mettere a dimora le piante è necessario verificare se le caratteristiche del terreno sono adatte allo sviluppo del tartufo, mediante analisi in un laboratorio chimico specializzato. Gli impianti devono essere preferibilmente eseguiti in terreni con pH con valori attorno a 7 o 8 , ricci di calcare, poveri di sostanza organica ed a tessitura sciolta. Una volta scelte le aree da adibire alla coltivazione del tartufo e reperite le piante micorrizate è necessario procedere alla preparazione del terreno. La messa a dimora delle piantine dovrà essere effettuata nell’autunno in modo che le piante possano ben radicare e superare così eventuali periodi di siccità primaverile ed estiva, con una densità di impianto variabile a seconda della specie arborea e della specie di tartufo impiegata per le micorrizazione. Anche dopo una prima produzione a 10-12 anni dall’impianto, le tartufaie vanno periodicamente curate, mediante lavorazione del terreno, irrigazione ed eventuali potature.
Territorio interessato alla produzione. Zone collinare e di media montagna di tutta la provincia di Piacenza.
Storia. Le prime notizie botaniche sui tartufi le troviamo nella "Historia plantarum" di Teofrasto, autore greco del IV secolo a.C., considerato il padre della botanica: li descrive come funghi, piante imperfette prive di radici, foglie, fiori e frutti, e li denomina "hydnon".
Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) nella "Historia naturalis" li distingue dai funghi, senza tuttavia riuscire a definirli con esattezza, e ne parla diffusamente.
Dopo, non abbiamo citazioni e notizie precise sui tartufi fino al Rinascimento, quando S. Ambrogio scrive al Vescovo di Como per ringraziarlo dell’invio di "terratuffole" di straordinaria grandezza. Nel ‘500 i tartufi erano largamente presenti nelle mense di alto rango e lo stesso imperatore francese Carlo V ne ordinò la intensificazione del commercio consolidando nella regione del Périgord una tradizione che si è sempre più sviluppata, fino all’odierna produzione record di circa 40.000 q.li.
Istruzioni per l'uso. Oltre ad essere usato tal quale, il tartufo fresco può essere conservato: una volta ben pulito viene messo in un vaso di riso, in vetro, ermeticamente chiuso e conservato in frigorifero, dove si mantiene per circa un mese.

 

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